Sto per raccontarvi di un viaggio, un mio viaggio, che mi ha regalato una delle sensazioni più belle della mia vita: la pace dei sensi. E sì, l’ho provata in una città caotica e più viva che mai. Il Marocco, Marrakech mi ha parlato dritto all’anima e non finirò mai di ringraziarlo per questo.
Martedì 28 aprile, ore 5.59 –
Sono di nuovo all’aeroporto di Ciampino, nuovo volo, nuova avventura, stesso medesimo rincoglionimento. Se per lo scorso viaggio a Budapest avevo optato per concedermi qualche ora di sonno prima del volo (tentativo fallito miseramente, vedi insonnia), questa volta ho deciso di fare la giovane fino in fondo e di non dormire affatto. In realtà più per necessità che per scelta, pertanto il racconto mi costringe ad un piccolo preambolo.
Chi già mi conosce sa che la notte lavoro in un Irish Pub,
e bene, la notte prima di partire un’esilarante coppia di scozzesi mi ha preso in simpatia e mi ha offerto (obbligatoriamente) un numero non precisato di bicchieri di bourbon. Mi volevano dimostrare così il loro affetto; male, molto male. Grazie a dio hanno abbandonato barcollanti il locale verso le 23 lasciandomi qualche ora per smaltire il malto misto alcool con ettolitri di ottima acqua. Santa acqua!
Stacco alle tre, prendo il motorino, arrivo a casa, mi strucco, lavo i denti, metto il pigiamino mentre bramo il letto con tutta me stessa quando un barlume di lucidità balena nel mio cervello: tra esattamente 30 minuti devo chiamare il taxi. Alla grande…!
Mi rivesto, breve check-up dello zainetto, tisana e via, alla volta di Termini. Con mia immensa gioia ritrovo il mio super autobus rosa shocking ad aspettarmi accompagnato questa volta da un ragazzo alla biglietteria con telefono in coordinato al bus. Queste cose sì che mi mettono di buon umore.
Noto comunque con piacere che nonostante la privazione di sonno rimango la più sveglia del gruppo: diluvia che dio la manda e tutti quanti stanno facendo la coda sotto l’acqua e senza ombrelli per fare a gara di chi sale prima sul pullman.
Facendo un rapido calcolo saremo circa una ventina, l’autobus ha 50 (52?) posti, ergo ci son due posti a testa.. chissà perchè cavolo se ne stanno sotto l’acqua?! Io attendo seduta sulla panchina al coperto finché non son saliti tutti e mi beo della mia asciuttezza.
Colazione con toast,
delle dimensioni della mia faccia circa, e si parte. Ah, la storia della mega fila si ripete pure all’imbarco; tutti ammassati e in piedi da un’ora per salire per primi su un aereo con il posto assegnato. Basta, mi arrendo.
Per quasi tutto il volo dormo, scomodissima e mi salto la colazione omaggio (forse è un bene). Mi sveglio tutta incriccata ma colma di entusiasmo e all’uscita dal portellone vengo accolta da uno splendido tepore estivo, ah la gioia! L’iter per uscire dall’aeroporto risulta piuttosto lungo e con una perenne cornice sonora di litigi in arabo.
Dopo circa 40 minuti sono libera e proprio all’uscita prendo al volo un autobus diretto proprio al centro città, investo i miei primi soldini marocchini e inizio a studiare la mappa della città durante il tragitto (6 km circa).
Scendo alla fermata dove scendono tutti e mi lascio trascinare dal fiume di gente; come inizio oggi voglio perdermi, camminare senza senso e lasciare che sia la città a condurmi. Nel mio vagare, partendo dalla piazza principale di Jeema El-Fna, mi imbatto in incantatori di serpenti, che vogliono soldi per fare una foto con loro; un uomo che costruisce dentiere, che vuole soldi per fare una foto insieme; una ragazza che letteralmente mi prende una mano ed inizia a disegnarmi qualcosa di non definibile con l’henné e che poi ovviamente vuole dei soldi.
Diciamo che poco ci mancava che mi chiedessero dei soldi per respirare l’aria della piazza! È tutto molto bello ma fate attenzione. Investo invece molto volentieri 10 diram (1€) per una freschissima spremuta di pompelmo rosa. Vagando per la piazza mi infilo nell’immensa città parallela dei souk, i loro mercati e qui trovo un riad (una sorta di affittacamere) bellissimo e altrettanto economico: 10 € a notte in pieno centro, preso!
Una breve sosta in camera,
alleggerisco lo zainetto e mi sento rinata. Parto alla scoperta del labirinto dei souk con le sue mille bancarelle di artigianato. Mi hanno detto che qui è un posto prettamente turistico in cui i marocchini non comprano, però fa il suo effetto e l’armonia di colori e profumi inebria pure il cuore. Ricordate solo di mercanteggiare qualsiasi cosa perché il prezzo iniziale generalmente è circa cinque volte il valore dell’oggetto. Il tutto ai miei occhi risulta comunque molto caratteristico.
Aneddoto:
un signore conosciuto in un bar mi avvicina per stringermi la mano, quasi commosso per il fatto che abbia lasciato un po’ di mancia, che per me erano circa 30 centesimi. Mi invita allora ad andare a visitare un negozio fuori dai souk, aperto solo oggi (il giorno dopo lo vidi di nuovo aperto..!) dove i turisti non ci arrivavano.
Io accetto solo perché nel profondo del mio cuore spero che mi offrano una buona tazza di te alla menta che mi sogno sin dal primo minuto in Marocco. E così è stato, mentre mi godo il te, il proprietario mi mostra una ventina di tappeti, che non mi piacciono, tranne uno, intrecciato in seta che letteralmente mi strega. Il prezzo è di 700 €, contrattando si arriva a 150 ma comunque lì rimane, insieme ad un mio pezzo di cuore.
Il signore che inizialmente mi aveva condotto al negozio di tappeti mi invita a pranzo l’indomani, con moglie e famiglia per insegnarmi a fare il cous-cous… no so dove, né quando e mi lascia dicendo di chiedere di Abdul.. si va beh, ne avrò già conosciuti almeno venti in due ore di Abdul!
Sul calare del sole corro sulla terrazza di un ristorante per godermi l’armonia dei colori che si impossessano della piazza, che magia! Verso sera prendo un taxi per andare a visitare la Ville Nouvelle, ossia la parte nuova della città (40 diram); ceno in una trattoria molto alla mano ma le forze mi abbandonano, è ora di andare a nanna.
Mercoledì 29 aprile – Marrakech
La sveglia ho deciso di non metterla perché son esausta e lascio che sia il mio corpo a decidere quando svegliarmi: apro gli occhi alle 9.30, perfetto! Doccia veloce, senza phon e con asciugamano 20×20 cm portato da casa e son pronta a schizzare quando il ragazzo della reception, con gli occhioni tipo gatto degli stivali super triste mi chiede: “Ma non prendi la colazione?”. Oh mamma, se me lo chiedi così… accetto ben volentieri. Tè alla menta completamente saturo di zucchero, pane fatto in casa, burro e miele; pronta per una maratona.
La tappa sarebbe dovuta essere il Palazzo Reale ma appena giunta nei paraggi più volte mi viene bloccata la strada dicendomi che il palazzo è irraggiungibile. Chiedo qua e là spiegazioni ma alcuni uomini, soprattutto quelli più anziani, provano quasi fastidio a parlare con me, perché donna. La cosa mi infastidisce parecchio ma alla fine un buon samaritano riesce a chiarirmi la situazione: il palazzo non è visitabile da nessuno, nemmeno dagli autoctoni, poichè ci vive tutt’oggi la famiglia reale. Aaaah e ditelo subito no?!
Cambio piano e mi dirigo verso il quartiere ebraico,
visito la Tomba dei Saaditi e ne rimango stupita per via degli intarsi e dei mosaici; un euro speso proprio bene. Durante il mio vagare conosco un ragazzo che parla perfettamente francese e mi fa da cicerone mostrandomi gli innumerevoli vicoli-labirinto del quartiere. Ci perdo parecchio tempo qui, tra l’architettura berbera, i colori delle case e delle porte, il mercato.. il tempo trascorre in fretta anche se la mia testa è totalmente assorta. Lo stomaco brontola e capisco che oramai è ora di pranzo.
Dopo il pit-stop con cous-cous vegetariano e Tajine di pollo,
parto alla scoperta della Maison de la Photographie. Non ho fatto i conti però con la tortuosità delle strade per raggiungerla.. e la cartina microscopica della Lonley Planet questa volta proprio non ci azzecca. Inizio a chiedere a destra e a manca la direzione, in pratica ad ogni svolta dovevo richiedere dove andare quando finalmente, al quindicesimo tentativo, un ragazzo gentilissimo si offre di accompagnarmi.
Grazie al cielo, non gliene sarò mai abbastanza grata! Lo ringrazio a profusione e mi riparo alla frescura del museo, pago 40 diram (4 €) ed entro alla scoperta della fotografia marocchina.
Dopo aver fatto mille scalette e superato cunicoli rivestiti con pure opere d’arte fotografica, il profumo di tè alla menta mi attira sulla terrazza e qui è successa la magia. Con un bicchierino di tè in mano, la brezza tra i capelli, i profumi di spezie e i suoni più disparati, ecco qui, in questo preciso istante ho provato un senso di pace irripetibile. In questo istante mi sono sentita libera, leggera, felice e con l’anima tinta di bianco.
Uscita dal museo ripercorro al contrario la strada, che mi ero premurata di memorizzare perfettamente e nel tragitto di imbatto in un centro culturale di arte a difesa delle donne. Non posso non entrarci. Inizio a vagare per le diverse sale e ognuna mi regala una gemma, opere d’arte di donne provenienti da tutto il mondo sulla difficile tematica del femminismo.
Una scaletta di pietra bianca mi invita poi a scendere nei sotterranei e un rumore particolare mi attira sino ad una stanza in cui, con mia immensa sorpresa, vedo un uomo ed una donna che si avvolgono ripetutamente in un grande foglio di carta.. cerco di capirne il significato ma alla fine cedo. Trattengo una risata e me ne vado.
Mi dirigo a passo veloce verso il Minareto,
l’enorme torre dalla quale, cinque volte al giorno, parte a volume imbarazzante il richiamo alla preghiera per i mussulmani. Su di me esercita una forza quasi opprimente infatti, dopo un breve tour, giro i tacchi e torno alla piazza. Qui un ragazzo mi attira alla sua bancarella offrendomi ristoro con una spremuta d’arancia e inizia poi un terzo grado; vuole sapere tutto di me, dei miei tatuaggi, dei miei lavori, di dove sono, mi sembra seriamente curioso e colpito così mi invita a sedermi con lui sul cassone delle arance.
Una spremuta fresca e una sedia non si rifiutano mai; nel frattempo la sua bancarella si riempie di curiosi che vogliono sapere cosa ci faccia io lì e gli affari girano alla grande. Io nel frattempo rimedio una bevanda gratis, un invito per visitare Agadir ed una proposta di matrimonio.
Si sta facendo sera, saluto e ringrazio e dopo una sosta in hotel mi regalo un drink sul roof-top di un ristorante in centro Marrakech. Mi sento un po’ una vip, il locale è di super lusso ma un drink per noi è assolutamente accessibile, costa infatti circa 7 €.
Tra musica araba, danzatrici del ventre e narghilè
la serata vola. Scendo in piazza per mangiare qualcosa alle centinaia di bancarelle sparse qua e là, compro una scatola di dolcetti che sarebbero l’incubo di ogni dentista (infatti li regalo ad alcuni bimbi per strada) e mi rifugio in stanza.
Sono stati due giorni intensi, pieni di emozione, confusione, colori, profumi, vitalità, musica, caos e divertimento ma soprattutto di gratitudine verso tutte quelle persone che, a titolo gratuito, mi hanno aiutato, accompagnato qua e là e fatto scoprire la loro Marrakech.
Da tornarci sicuramente.